domenica 24 luglio 2011

La chat, il telefono e poi...... (parte I)

Anni di chat, di serate passate a cazzeggiare su un noto portale, non sono passati invano.

Incontri dal vivo, conoscenze più o meno profonde, insomma tutto quello che capita normalmente dalle parti di chi chatta e non disdegna di approfondire con l’altro sesso.

E a volte questi incontri diventano tali da non dimenticarsene più, non soltanto per questioni sentimentali ma anche dal lato più prosaico del sesso duro e puro.

Ormai sono due anni che non mi dedico con continuità a questo “passatempo” ma ricordo sempre con gran piacere, ed eccitazione, proprio l’ultimo incontro dal vivo nato da una chattata di appena due settimane prima.

Stavo per chiudere quando sul monitor mi appare un nick femminile che risultava di un paese vicino al luogo nel quale mi trovavo per lavoro.

Era appena un anno che abitavo in quella città di provincia, le conoscenze erano scarse e sicuramente mi poteva far piacere di costruire delle nuove amicizie.

Però il quel caso parlare di amicizia è un può fuorviante.

Sesso fu da subito e senza alcun equivoco.

Mi rivolsi subito con un banalissimo “ciao” e da qui le altrettante consuete presentazioni.

A breve giro di posta uno scambio foto e da lì un interesse reciproco decisamente lievitato

La ragazza ritratta in foto mi appariva un po’ in carne, con un bel viso sorridente, più giovane di me almeno di 15 anni; e non nego che da subito mi siano scattate delle fantasie molto “oral”.

Da parte sua, dopo aver ammesso che la sua condizione di single la stava facendo un po’ soffrire per la mancanza di vero sesso (“mi masturbo ma non mi basta”), si mostrò particolarmente contenta dopo aver visto la foto che le avevo mandato.

Tanto che mi confessò candidamente come si volesse togliere lo sfizio di “farsi un uomo maturo sui 40”.

Al che mi candidai senza problemi e da lì al momento del nostro incontro dal vivo le nostre chattate serali diventarono piene di allusioni, provocazioni da parte mia e sua, confessioni di cosa ci poteva piacere e cosa avremmo voluto fare.

E poi la prima telefonata.

“Dai almeno sentiamoci e ci salutiamo. In attesa di farlo dal vivo. Ci stai?”.

Viste le premesse però era intuibile che non ci saremmo limitati ad un semplice ciao:

“- Finalmente sento la tua voce. Te l’ho detto che oltre ad essere un lupetto goloso e sensibile al fascino femminile sono anche molto curioso. Ti avrei sentito volentieri al di là di tutti i nostri discorsi sul sesso.

- Si L. sono curiosa anche io e devo dire che la tua voce scura corrisponde in pieno alle mie aspettative. Non mi avevi detto bugie.

- Mi pare di capirlo dal tuo respiro. Sbaglio o è un po’ affannoso. Come mai?

- Ma senti senti che furbo che sei. E pure intuitivo. Effettivamente la tua voce mi fa effetto. E’ molto bella.

- Anche la tua, molto femminile. Lo sto notando ora. Ho sempre questo strano rigonfiamento nei pantaloni quando chatto con te ed a ora al cellulare sembra essere ancora più duro. Come mai?

- Non ti smentisci. Sei proprio un gran porco. E io voglio essere la tua troia.

- Cosa stai facendo A., dimmelo.

- Lo sai, mi sto toccando e penso a te, a cosa mi vuoi fare. Sono fradicia.

- Ti meriti il mio cazzo A., di essere scopata in ogni buco. Lo vuoi?

- L. ti voglio vedere e poi scoparti. Lo so cosa ti piace. Te lo succhierei fino a farti esplodere sulla mia faccia e nella mia bocca.

- Questo mio cazzo duro te lo ficco dappertutto, nella fica, nel culo, in bocca. Voglio leccarti la fica.

Voglio farti una maschera di sborra. Vengo da te e ti tratto come una troia

- Ti prego continua. Continua. Si sborrami in faccia, sono la tua puttana. Sborrami in faccia…[…] Sto per venire….”

Da lì a poco un reciproco orgasmo, nato da una conversazione poi nemmeno troppo virtuale.

Le nostre voci avevano veramente poco di virtuale e molto di reale. Come i nostri orgasmi.

La mia nuova amica aveva le idee chiare.

Voleva togliersi appunto questo sfizio di farsi finalmente un uomo più grande di lei e poi voleva dimostrarmi come ci sapeva fare di bocca: “ti farò il migliore pompino della tua vita”.

Passarono alcuni giorni e, dopo una fitta serie di sms, arrivò la sera adatta per rendere la nostra conoscenza del tutto reale e non più virtuale: dopo il lavoro una doccia, treno, appena quindici minuti di viaggio e finalmente alla stazione dove mi aspettava.

lunedì 18 luglio 2011

Il potere del non volere...

Serata con un amico. Non un amico, il mio amico. Amico lo è davvero, abbiamo un rapporto speciale, siamo vicini, io sento il suo sentire e lui il mio. Ma le cose non sono facili. Tant'è che ci eravamo allontanati, non come amici, ma come amanti. Un allontanamento mai dichiarato, da lui neanche percepito, perchè in fondo quello che vuole è sapere di avermi, non avermi realmente.
Sapere che non sono di altri, forse. Ma se io non posso essere sua, il mio autolesionismo stessa mi porta a cercare altro...
Un autolesionismo che, comunque, non mi ferisce come i suoi silenzi e le sue inquietudini. Pesanti e dolorose come le mie.
Anime in pena...
Non sempre.
Serata con un amico, dicevo, l'occasione era particolare, ci trovavamo fuori città, era l'ora di cena e decidiamo di trattenerci a mangiare. Io oramai con lui non ci provavo neanche più, ogni mio tentativo sarebbe risultato un goffo avvicinamento, meglio fare l'amica e basta e non fargli capire che potevo essere ancora sua, che in fondo lo volevo, che dentro ancora lo ero.
Però non eravamo soli. Una telefonata ad un suo amico, conoscente di vista anche mio, ci rende in tre, e così in tre andiamo a cena in questo ristorante, e iniziamo a parlare del più e del meno.
L'amico è furbo. Più furbo del mio amico. Sarà che ha 50 anni e non 35, sarà che è sposato e non singles, sarà che io gli piaccio pure un po' e i discorsi diventano confidenziali. Si crea un bel feeling...Chiamiamolo... D.
Parlavamo di tatuaggi e mi chiede se ho mai visto il tatuaggio del mio amico. Mi irrigidisco. Per quanto confidenziali ancora non erano stati rivelatori, io in fondo sono e resto una donna sposata che per motivi di lavoro si è trovata in una cena con un collega...
Chissà forse questo mio ritrarmi, in un certo senso, lo stimola, e ad un certo punto della cena, scherzando forse su un gamberetto o un pezzo di tonno, non ricordo bene, il mio amico inaspettatamente mi dice che si, me l'avrebbe fatto assaggiare ma solo se avessi avuto il coraggio di baciarlo ora, davanti a tutti, nel ristorante.
Io non mi tiro indietro, le sfide mi piacciono, allora mi alzo e lo bacio. E questo apre un qualcosa... Capisco anche io che è la presenza di D. ad avere su di lui un effetto particolare. Un po' come il cane che vuole segnare il territorio... Ma decido di giocare ugualmente...
A parte la reazione di stupore iniziale, la cena continua con argomenti sempre più piccanti e interessanti. Si parla di privè, di percorsi, di come dovrebbero essere certi locali e io da donna provo a dire la mia. Non ci sono mai stata, non è questo il discorso. Sono proiezioni mentali, niente di concreto.
Dopo la cena ci concediamo una birra e quà scatta qualcosa in più...
Il mio amico va al bagno e parlando con D. che comunque mi è simpatico e mi ispira fiducia gli dico che se mai vorremo un terzo sarà lui. E' un discorso lungo, ma il mio amico capirà, un discorso già affrontato. Quando il mio amico torna dal bagno glielo dico, sorridente e scherzando, ma sa che non scherzo. Le mie provocazioni riescono a sfiorare il suo egoismo maschile e qualcosa in lui vacilla. Anche D. lo capisce e quando, per continuare il mio gioco, lo guardo come una gatta morta e gli chiedo se mi inviterebbe a cena... risponde che in tre, anche tutta la vita, ma non avrebbe mai fatto un torto a lui. Continuo a scherzare, e ad una reazione del mio amico gli chiedo "a ma allora sei innamorato, carino..." e lui mi risponde che sarebbe anche disposto a farsi carico del mio carico famigliare, cane incluso, se io volessi..."
Certe cose me le porterò dentro per sempre, questa è una di quelle.
La serata termina così, tra parole, confidenze, battute, ammiccamenti, e ci ritroviamo, soli, io e il mio amico, nel cuore della notte in una strada a noi conosciuta. Siamo praticamente di fronte al posto di lavoro. Ci baciamo, si avvicina e per un attimo lo riesco ad afferrare. Non so quando mi capiterà di nuovo questa occasione... e mi chiede cosa voglio io... viverci, rispondo, senza pretendere troppo, senza più di quello che posso darti, viverci sarebbe tanto, sarebbe bello, sarebbe tutto... sembra quasi fatta, ma con lui non lo è mai... e lo so, oramai lo so...
In quell'attimo in cui riesco ad afferrarlo, tra l'altro, anche il duro dominatore cede e... con il cavolo che ti condividerei a te! Anche questo me lo porterò dentro per tutta la vita, bugia o verità non lo so, gioco o finzione, le relazioni sono cose strane... Certo è che non si è rimangiato una parola di quanto detto quella notte ma quando oggi gli ho detto dai vediamoci, ti voglio... non l'ho avuto. E' stato da solo con i suoi pensieri, le sue inquietudini, a studiare forse il modo per esasperare le mie...

E l'unico modo che ho per difendermi è fingere di dimenticarlo.... anche se non è giusto, anche se non è corretto, è l'unico modo che conosco...

venerdì 8 luglio 2011

"After i go..."



Un anno di naia, in quel lontano 1995, era stato veramente pesante: marce, disagi, la famiglia lontana, la mancanza di Silvia, quella ragazza che al tempo mi “sollazzava”.
Già...Silvia. Ci avevo pensato sempre in quei mesi del cavolo: mi mancava il suo corpo, quelle gran scopate che mi facevo con lei. Ancora due ora di treno e sarei stato con lei.
Mi sentivo già arrapato al solo pensiero. Ero – come dire – predisposto ….
Era ormai sera e salii sul quel treno che mi avrebbe portato a Pisa già con l’idea della serata: avevo il membro duro che pulsava sotto i pantaloni slargati. Forse non era stata una buona idea mettersi anche i boxer. Con quei pantaloni si vedeva il rigonfiamento.
Pazienza: ancora due ore e avrei chiesto a Silvia che ci pensasse lei ad abbassare quel turgore.
Subito, con bocca e mani.
Il treno era giunto alla stazione finalmente ed entro 5 minuti sarebbe partito.
Stranamente non era molto pieno: potevo scegliere una volta tanto dove sedermi.
Scelsi un posto a caso, il primo che mi capitò.
Mi misi comodo e poi diedi un occhio a chi mi stava davanti: era una giovanissima ragazza orientale, presumibilmente giapponese.
Era settembre e faceva ancora caldo. L’abbigliamento della giovane turista era ancora estivo: camicetta leggerissima, bianca, pantacollant neri, aderenti, sandaletti che lasciavano intravedere le dita dei piedi. Piccolina, aveva un viso molto grazioso, delicato, regolare.
Nel vagone c’era poca gente; soltanto a lato davanti una anziana signora che sonnecchiava.
Il treno partì. La giapponesina era lì davanti.
Iniziai a fissarla. Era veramente carina. E sola.
Sarà stato l’arrapamento, il desiderio di provocare, ma mi venne l’idea di fare come talvolta usavo stimolare la mia Silvia. Un leggero piedino per saggiare la disponibilità di lei
Avvicinai il piede alla gamba della ragazzina e delicatamente sfiorai il suo polpaccio.
Non mi aspettavo una reazione così repentina: la giapponesina facendo finta di nulla, con lo sguardo perso nel vuoto, cominciò a premere la gamba sul mio piede. Il suo viso era diventato rosso e premeva sempre più.
Diedi un occhio alle altre persone intorno: tutte sonnecchiavano, sembravano non accorgersi di nulla.
La cosa andò avanti per un po’. Mi sentivo come paralizzato in quella posizione.
Sentivo premere quella sua piccola gamba delicata e lei, col volto ormai viola, ogni tanto girava la testa e per un microsecondo mi guardava negli occhi.
L’eccitazione e la voglia cresceva e non mi non bastava: volevo sentire di più.
Lentamente sfilai la scarpa per accarezzarla meglio e lei subito capì la sua manovra.
Fu un attimo: la ragazzina sembrò impazzire.
Iniziò a premere fortissimo la gamba, la iniziò a strusciare violentemente contro di lui, tremando tutta.
Continuai, mi sfilai completamente la scarpa e veloce misi il piede fra le sue gambe per accarezzarla lì in mezzo, sulla fica.
Lei spinse il bacino contro il piede e strinse forte.
Stava spingendo fortissimo il suo piede contro la piccola fica della giapponesina.
Il mio cazzo era diventato enorme, mi pulsava violentemente nei pantaloni.
Presi il giornale e lo misi sulle gambe come per leggere.
Levai improvvisamente il piede, mi piazzai a sedere diritto davanti a lei, più vicino; e allungai la mano fra le sue gambe, col giornale che parzialmente li copriva.
Sotto le pagine del quotidiano la mia mano aveva iniziato a massaggiare violentemente i pantacollant sopra la biforcazione delle cosce, sulla fica.
Lei spinse il bacino contro il piede e strinse forte.
Stava spingendo fortissimo il suo piede contro la piccola fica della giapponesina.
Il mio cazzo era diventato enorme, mi pulsava violentemente nei pantaloni.
Presi il giornale e lo misi sulle gambe come per leggere.
Levai improvvisamente il piede, mi piazzai a sedere diritto davanti a lei, più vicino; e allungai la mano fra le sue gambe, col giornale che parzialmente li copriva.
Sotto le pagine del quotidiano la mia mano aveva iniziato a massaggiare violentemente i pantacollant sopra la biforcazione delle cosce, sulla fica.
Era fradicia:stava con gli occhi socchiusi come inebetita, il respiro grosso, e premeva con forza la gamba sinistra contro la mia.
Azzardai: “In bathroom?”.
Non rispose; continuai a toccarla.
Poi fu lei a prendere l’iniziativa…………
Prese la sua borsa e se la mise sulle gambe di modo che potessi continuare a toccarle la fica fradicia.
Il mio cazzo continuava a pulsare violentemente: dovevo assolutamente liberarsi e sborrare.
Il treno non era giunto a Pisa, mancavano ancora 30 chilometri e per fortuna lo scompartimento pian piano si era svuotato: non fu facile mollare la presa e togliere la mano dai pantacollant della giapponesina.
Adesso però me la dovevo scopare. In un modo o nell’altro.
Mi alzai e la presi per un braccio: “Andiamo?”
Rispose “After I go”. Era la prima parola che usciva dalla sua bocca.
Sembrava come paralizzata, piccola, delicata; nessuno lì intorno avrebbe pensato che una ragazzina così, fra pochi minuti, sarebbe stata schizzata di sperma.
Dove portarla?
Con la mano sotto la sua ascella la trascinai con decisione verso il bagno.
Lei disse ancora” After I go”.
“Yes , yes, after you go….ma prima voglio scoparti tutta, davanti e dietro”. Non capiva nulla di quello che fra i denti le stavo ringhiando eccitato.
Entrammo nel bagno, senza che nessuno ci vedesse.
Aprii la porta e con violenza la sbattei contro il lavandino, e veloce mi abbassai i pantaloni.
Il mio cazzo da tanto era eretto quasi mi faceva male.
Le presi la testa e, nonostante magari non capisse nulla, le dissi di inginocchiarsi di fronte a me: “Succhiamelo subito, troia”.
Lei lo fece subito: succhiò con tutta la forza che aveva. Sembrava impazzita, mentre succhiava e faceva passare la lingua sulla cappella.
“Continua, fammi sentire la saliva”.
“Adesso alzati e girati”.
La sbattei contro il lavandino, le abbassò i pantacollant e le fece allargare le gambe mentre teneva la sua testa abbassata.
“Ora ti penetro la fica”.
La iniziai a scopare cattivo. Lei stava zitta: solo ogni tanto un sussulto e un gemito come di dolore.
Stavo penetrando un piccolo corpicino tutto bagnato.
Il mio cazzo sembrava navigare in quella piccola fichetta fradicia.
Le stavo assestando dei colpi violentissimi: volevo sfondarla.
“Adesso dammi il culo”.
Appoggiai la cappella sul buchino roseo, ma era troppo piccolo. Non continuai.
Intanto con la mano le frugavo il clitoride, infilandole le dita dentro alla fica: sembrava un lago.
Sentivo che non ne avevo per molto: tra poco sarei venuto.
“Ora girati e mettiti in ginocchio davanti a me. Voglio schizzarti addosso”.
Lei lo fece. Vidi allora il suo volto: quasi impassibile, se non fosse stato per il respiro ansimante e la faccia tutta rossa.
Lei non capiva ma le sussurrai a denti stretti, impazzito dall’eccitazione: “Ora succhiamelo che ti sborro addosso. Cosa aspetti? Fallo subito!!!”.
Presi la sua testa con la mano e le ficcai a forza il cazzo in gola.
Cominciai di nuovo a scoparle la bocca, piena di saliva che grondava.
Sentivo venire gli schizzi.
Smisi di darle colpi in bocca, lo tolsi, e con la mano le orientai il cazzo in mezzo agli occhi.
“Stai ferma, non ti muovere, tieni ferma la testa”.
Lei rimase immobile, attendendo gli schizzi sul suo volto.
Finalmente partì il primo schizzo di sperma bianco, caldo e lattiginoso e la colpì in pieno, sulla fronte e sulla palpebra destra.
Poi un altro schizzo violento la prese in mezzo agi occhi e sul naso.
Poi sulla bocca. Sembrava non volessi più smettere. Stavo sporcandola tutta di caldo seme.
Terminai con uno schizzo in bocca.
La sua faccia era diventata irriconoscibile, tanto era lo sperma sul suo viso.
Non ricordo bene cosa successe dopo: so solo che ero esausto e, senza dire nulla, mi tirai su i pantaloni, chiusi la lampo e le feci un sorriso.
Lei rimase impassibile, aprì la borsetta e tirò fuori un clinex per asciugarsi alla meno peggio.
Uscimmo dal bagno: una fortuna, non era arrivato nessuno.
Proprio in quel momento arrivammo alla stazione di Pisa.
Un attimo, prese la borsa e la vidi scendere di corsa e scomparire veloce tra la poca folla che era presente in Stazione.
L’aspettai in stazione alcune ore dopo, pensando che prima o poi dovesse fare ritorno a Firenze, ma non la vidi mai più.